L'Oasi Biologica Nevianese
Quando un territorio si dedica all'agricoltura biologica
Le
aziende certificate, che costituiscono l'Oasi biologica nevianese, sono 140 e
occupano uno spazio superiore alla metà della superficie agricola del Comune. A
rappresentarle c'è una Cinciallegra, un passeraceo tipico del luogo, che ama
vivere in ambienti poco inquinati. Tale logo è stato scelto in modo non
casuale: un territorio di collina e montagna, lontano dalle grandi vie del
traffico, senza industrie e in cui sono di primaria importanza l'agricoltura e
la zootecnia, costituisce infatti il terreno ideale per sviluppare l'agricoltura
biologica.
"Questa esperienza, unica in Italia, è partita nel 1997 - spiega Davide
Ghinizzini, promotore dell'Oasi per conto del Comune - e ora si sta costituendo
in modo sempre più strutturato. Le produzioni da agricoltura biologica, prive
per legge di qualsiasi additivo chimico, presuppongono qualità, studio, onestà,
lavoro intenso, e non possono fondarsi sull'improvvisazione. Per questo un
intero territorio dà più garanzie rispetto all'impresa singola, che si trova a
fronteggiare maggiori difficoltà, costi più elevati e normative
rigorose".
È nato così, lo scorso anno, il Consorzio dell'Oasi biologica nevianese, a cui
fino a ora hanno aderito 27 aziende agricole con l'obiettivo di sviluppare
l'agricoltura biologica, promuoverne la vendita dei prodotti e organizzare corsi
di formazione rivolti non solo ai produttori biologici, ma anche ai consumatori.
"Dopo aver creato questa struttura, ora abbiamo un nuovo obiettivo: quello
di far arrivare i prodotti biologici già trasformati al consumatore - dice il
presidente dell'Oasi Luciano Maggiali. - Esistono già produzioni certificate
come il Parmigiano-Reggiano, l'Orzo Parma biologico, le orticole, il favino. Si
sta invece lavorando su quelle in via di certificazione: penso a prodotti come
pane e biscotti, carne bovina, avicola e conigli, miele biologico. Sarà un
nuovo traguardo, che permetterà di attivare anche il turismo biologico".
Dal foraggio al
formaggio
"La Villa" di Follezzani e Carburi è un'azienda agricola interamente
dedicata al biologico, dai campi alla produzione del Parmigiano-Reggiano. Essa
conta più di 130 ettari di terra, tra proprietà e affitto, fra Neviano e
Traversetolo, 320 capi in stalla e il cuore del lavoro a Urzano. In circa 23
ettari di terreno franoso c'è una parte dei campi, la stalla, il caseificio e
il punto vendita. Ma la sua non è stata esattamente una "virata" al
biologico. Fin dall'inizio si è trattato di una scelta, prima di tutto di vita:
"Sono stato uno dei primi ad aderire nel 1997 - racconta Follezzani - ma la
mia azienda era già così: il mio bestiame era già biologico; non ho mai
comperato una mucca a eccezione del toro da rimonta e ho sempre concimato la
terra con prodotti organici. La scelta per i prodotti naturali, senza additivi
chimici, è sempre stata netta e precisa".
Le sue parole d'ordine sono: rigore, serietà e qualità. Produce 10000 quintali
di foraggio, 1300 di orzo e 600 di frumento, rigorosamente certificati da
produzione biologica. Con questi nutre il suo bestiame. E dal latte ricava il
Parmigiano-Reggiano: sono tre anni che ha impiantato il caseificio. Il motto,
anomalo, è: "Meno latte fanno le mucche meglio è". Prosegue
Follezzani: "Lo so che è in controtendenza, ma un'impostazione di questo
tipo comporta una qualità particolare del latte e una vita più lunga per gli
animali".
Mettiamo le due realtà a confronto: se una mucca normale produce fra i 30 e i
40 kg di latte al giorno, quella di Follezzani si aggira sui 15 kg. Risultato:
l'animale vive 10 anni contro i 5 degli altri e fa 8-9 parti contro i 4 degli
altri.
A sentire Follezzani i risultati sono evidenti. La sua azienda è tra le prime a
produrre il Parmigiano da agricoltura biologica: da due mesi ha ottenuto il
placet per le sue 1700 forme all'anno, anche se la produzione dello scorso anno,
oggi in vendita, è ancora in "conversione", cioè in quel periodo di
almeno due anni in cui avviene il passaggio dall'agricoltura tradizionale a
quella biologica. Sostiene Follezzani: "Con il mio latte ottengo il 16% di
resa in più in formaggio: anche per questo ho scelto bovine di razza bruna. Ma
per ottenere un prodotto così le regole sono ferree: nessun antibiotico, molto
spazio di movimento per gli animali, monta naturale e, a integrazione del
foraggio, solo 3 kg di farina contro i 15 di una stalla normale. Il punto chiave
è che le mucche devono essere sane. Infatti, se una vacca si ammala seriamente
va eliminata. Noi non usiamo medicine, per i casi più delicati ci dà un mano
un veterinario omeopata, ma è raro. Le spese per questo sono ridotte al
minimo".
Le ripercussioni sul prezzo? Senza dubbio c'è un aggravio di costi (attorno al
20%), visti i maggiori oneri di produzione e la minore produttività. Ma sembra
che il prodotto sia comunque davvero di successo. "Questo formaggio non è
per tutti ma per chi è sensibile al tema del biologico - chiarisce - e sono
molti a esserlo, più di quanto ci si possa immaginare. Lo scorso Natale mi sono
ritrovato senza formaggio".
Daniela Poli
(articolo tratto dal "Giornale di informazione e cultura alimentare della provincia di Parma - Numero 2, Anno I, Maggio 2001)